- Valerij, svegliati. E' tardi. -
Gli occhi che si aprono con fatica. La luce bianca che preannuncia l'immobilità del cielo. Il freddo che sembra penetrare dalla finestra chiusa. E' tardi: per la colazione, per la metropolitana, per la scuola. Sempre troppo poco il tempo, troppe le cose da fare; o viceversa.
All'orizzonte non si intravede nulla, soltanto fumo impalpabile e qualche macchia verde di arbusti che spezzano il biancore della neve. Nel silenzio irreale i soldati si scambiano pacche sulla spalla e sorrisi per dimenticare il freddo; qualcuno attinge a una bottiglia di vodka, nell'indifferenza generale. Uno guarda il carro armato e immagina le sue lamiere verdi in fiamme, e immagina di riscaldarsi a quel fuoco.
Il vino scorre, ma non a fiumi. Alberto beve lentamente dal suo bicchiere di Primitivo e una macchia rossa sulla tovaglia denuncia l'imperizia del sommelier. La mano di Alberto si apre e i dadi ricadono sul tavolo.
- Eh va be'! Allora non si può giocare.. - risuona subito una voce nell'aria.
- Ma che culo.. - sussurra un altro dalla parte opposta del tavolo.
La vita è un gioco, mischiam le carte
Ride chi vince, chi perde piange…Una radio riporta cattive notizie dal fronte. Nessuno parla, tutti stanno ad ascoltare e guardano negli occhi i pochi compagni rimasti, chiedendosi chi sarà il prossimo a morire. Ma nulla ancora dimostra la verità delle parole gettate al vento, non una sola macchia di sangue arrossa la neve. Che non è un manto, né una coltre, né una distesa, ma solo un ammasso alla rinfusa di bianco e grigio, orme di scarponi militari e lamiera, grasso e olio, e legna avvizzita.
Sergej Ignatievich suona il clacson e impreca. Mentre sorpassava a destra una vecchia Volkswagen, la macchina davanti alla sua ha avuto la stessa idea. Ed ora Sergej può solo frugare nervoso nel ta-schino della sua giacca ormai lisa da professionista, alla ricerca dell'orologio. Prima di aggiustarsi il nodo della cravatta "Giorgio Colombari".
Scambiati i rituali commenti sul sei e sul due, si aspetta la prossima mossa.
- Dovremmo fare più attenzione alla storia. -
- La storia? Che c'entra adesso la storia? - si stupisce Alberto tra un sorso di vino e l'altro.
- La storia che stiamo raccontando. -
Corrono i dadi sul tavolo (che non è verde), senza fare rumore. Se tutti sanno stare al proprio posto, ogni cosa si può fare senza disturbare. E non esiste un problema che non abbia una soluzione.
…ma la partita è solo una
nella vita ci vuole fortuna, una rivincita non ci sarà.
Non dura molto. D'improvviso un carrarmato squarcia l'orizzonte, e non si fa in tempo a pensarci che è già arrivato, con una velocità che non ti aspetteresti mai; dalla vicina Jacuzia è partito l'attacco finale.
I soldati dell'armata blu sono dappertutto, cingono d'assedio l'ultimo fortino, circondano i mezzi pesanti, li fanno a pezzi. Qualcuno si arrende alzando le braccia, qualcun altro non può più farlo. E finalmente, alto e scoppiettante, il fuoco, a riscaldare l'aria gelida della Kamchatka conquistata.
Valerij Ignatievich si fa sballottare dalla metropolitana tra Dmitrovskaya e Savelovskaya. Suo padre Sergej, sigaretta fra le dita, ride raccontando ai colleghi di una certa Svetlana che fa dei pompini da favola.
Svetlana sta nel suo appartamento, fermata Nagatinskaya. Una baracca di due stanze, ma in una c'è un televisore 15 pollici a colori. E la televisione lascia passare tutto ciò che può passare, lascia en-trare ogni cosa nell'appartamento mentre Svetlana fa zapping tra i canali.
Frammentazione del segno. Frammentazione del sogno.
Alberto temporeggia un po' con i dadi in mano; la bottiglia di vino sta finendo e la prossima carta potrebbe decidere la partita. Un quadro alla parete segna le 23:30. Gli altri giocatori lo guardano innervositi. Alberto pensa confusamente che è tardi, come sempre è tardi, come lo era stamattina.
Sono le 23:31: è ora di tirare i dadi. Prossimo obiettivo, la conquista dell'Asia.
E la notte è scesa sulla Kamchatka. Ancora una volta ci si stupisce della rapidità del tramonto: il sole si pavoneggia ogni sera per due ore, ma il momento del trapasso oltre l'orizzonte è sempre uno solo, e così fulmineo che spesso non si fa in tempo a vederlo.
Ora non si vedono più le installazioni distrutte, i nuovi accampamenti dell'armata vincitrice, le macerie e il cadavere della neve squarciata dalla battaglia. Non si vede più il fumo nero, riassorbito dal buio della notte, e tutto sembra tranquillo come lo è sempre stato. Come tutte le cose, anche questa passerà; come tutte le guerre, anche questa non lascerà segni, e domani sarà solo un ricordo lontano.
(2003)